Siamo in periferia del parco della Majella

La "Cisterna" sul fiume Orta


Partiamo da casa per questo ponte di inizio Giugno, destinazione Majella, una due giorni in Majella per una sorta di full immersion tra queste lontane montagne; nuvoloni grigi e bassi imperversano abbassando gli orizzonti, per strada quasi subito incontriamo acquazzoni che poco promettono e che anzi confermano la grande variabilità preannunciata un po’ da tutti i siti meteo. Per fortuna abbiamo prenotato un B&B per un paio di giorni, l’opzione rinuncia era scongiurata dall’anticipo che avevamo già pagato, male che sarebbe andata avremmo fatto i turisti in giro per l’Abruzzo. Lungo la A25, superata la lunga galleria nei pressi di Cucullo, il cielo si apre, squarci di azzurro lentamente si fanno più ampi ed il sole inizia a scaldare come sarebbe giusto in questo periodo; le nostre velleità riprendono vita, anche perché l’escursione di oggi, propedeutica a quella del giorno successivo, una sorta di lento avvicinamento alla Majella, è di quelle semplici, brevi, quasi da toccata e fuga. Dovevamo arrivare al paese di Bolognano, usciamo dall’autostrada a Torre dei Passeri, il navigatore non serve, una miriade di cartelli impediscono di sbagliare la direzione per il paese che dista non più di 12 chilometri. Sfiliamo accanto a magnifici vigneti e a cantine che meriterebbero una visita ma non subiamo nemmeno la tentazione dal momento che quella odierna è una giornata festiva e sono chiusi, la Majella è davanti a noi, i profili del Morrone e della lunga dorsale che sale al Pescofalcone si aprono sull’ampia valle di Caramanico; Bolognano è lungo questa direttiva in quella zona di ampie e ondulate colline che fanno già parte del parco della Majella. Ci arriviamo facilmente e velocemente, superiamo una rotatoria in periferia del paese e ci dirigiamo verso il centro, verso la chiesa di Sant’Antonio Abate che molte relazioni indicano come imbocco del sentiero per il fiume Orta e la famosa “Cisterna”. Il paese è minuscolo, dopo la rotatoria si arriva ad una piazzetta, la strada principale gira a gomito davanti ad una chiesa dalla facciata semplice in pietra e intonacata di rosso nella parte alta senza ornamenti antichi, nulla lascia capire che si tratti di quella che stiamo cercando, imbocchiamo un viale alberato e fresco di tigli e parcheggiamo una cinquantina di metri più avanti. Ci attrezziamo con scarponi e zaini, è strano farlo seduti comodamente su una panchina di un paese, e ci inoltriamo per le viuzze alla ricerca dei cartelli che indichino il sentiero n° 6. Tornando indietro, superiamo la prima piazza e imboccando una strada di fronte siamo subito in centro, in una piazzetta con una meravigliosa stella multi punte e al fresco delle viuzze ombreggiate e nulla lascia presagire la profonda forra del fiume Orta che scivola poco più in là accanto alle case del paese. Oltrepassiamo la piazzetta con la stella al centro della pavimentazione e ci inoltriamo in una seconda piccola piazza, davvero da borgo antico, dove insiste una minuscola chiesetta accanto ad un arco. Nessun cartello di sentieristica nei paraggi, solo qualche affaccio sulla forra che scorre dietro le case che insistono sulla piazza stessa: la direzione da prendere almeno l’abbiamo capita. Individuato il letto del fiume rimaneva da trovare l’imbocco per scendere, il paese è minuscolo, non ci scoraggiamo e torniamo indietro alla ricerca di … Sant’Antonio Abate; se quando cammini non ti guardi intorno e pensi di fare il turista è ovvio che tutto possa sfuggire; arrivati di nuovo davanti alla chiesa in pietra e intonacata di rosso, dove sulla strada accanto cinquanta metri più su abbiamo parcheggiato, scorgiamo sulla sinistra, all’angolo del viale di tigli, una bella tabella descrittiva del percorso e se non bastasse anche una frecciona grossa così: “sentiero 6, direzione Cisterna e fiume Orta”. Alla faccia! Prendendoci in giro prendiamo quindi a sinistra (rispetto alla chiesa) e ci inoltriamo tra le case del paese; poche a dire il vero, siamo subito fuori e imbocchiamo uno stradello che presto assume i connotati di un vero sentiero. A destra sfilano degli orti e poi una parete rocciosa con una grotta buia, vi sfido a trattenervi dalla tentazione di salirci, mentre a sinistra si inizia a percepire il gorgoglio dello scorrere dell’acqua e anche la profonda forra del fiume; alta sopra la vegetazione si intravede la cresta che sale al Pescofalcone. Per poche centinaia di metri il sentiero continua in piano, fino ad un grosso cartello del parco che indica chiaramente di prendere il sentiero in discesa lì accanto. Si scende per un breve tratto, la vista sulla forra del fiume si apre improvvisamente, le ripide pareti sul lato opposto scendono ripide punteggiate dalle gialle ginestre. Ad un piazzaletto a poca distanza due cartelli indicano le direzioni da scegliere: a destra una scaletta in metallo porta al sentiero alto che taglia il versante orografico sinistro delle gole e che conduce ad un affaccio panoramico sulla Cisterna circa un chilometro più in là, a sinistra scende repentino per frequenti tornanti fino a raggiungere il pietroso letto del fiume. Dimenticavo di aggiungere che nel frattempo la giornata da grigia e poco invitante che era si era trasformata in una fresca e luminosa giornata primaverile, cosa non da sottovalutare in un ambiente così umido. Di tempo ne abbiamo tanto e non vogliamo perderci nulla, iniziamo dal sentiero alto, così sarà anche più facile prendere confidenza col territorio; il sentiero sfila sottile e alto sulla forra, ora immerso in una vegetazione rigogliosa ora a picco sul fiume, sempre offrendo panorami suggestivi e diversi dai soliti. Un tappeto di fiori ci accompagna lungo il sentiero e a confermare che anche le passeggiate possono riservare delle sorprese su questo facile e minuscolo tratto di sentiero ho l’occasione di vedere per la prima volta il fiore della Damigella Scapigliata (Ranunculaceae Nigella Damascena, fiore tipico di zone aride fino ai 1000 mt di altezza), un fiore davvero affascinante quanto difficile da incontrare. Un chilometro, forse meno è lungo il percorso, una pietra in mezzo al sentiero con in netta evidenza la scritta STOP-FINE lo chiude; a dire il vero continua ancora, forse si va a perdere nella boscaglia. La fine del sentiero corrisponde all’affaccio diretto sulla Cisterna, una piccola piattaforma, una conchiglia di roccia levigata su cui precipitano rivoli d’acqua ed una cascatella molto spettacolare. Tanti rigagnoli e tanto filtrare d’acqua fanno si che la parete spiovente sulla Cisterna sia ricoperta di un grosso strato di muschio, la conchiglia è al limitare del fiume, su un piano leggermente rialzato rispetto al livello dell’acqua; difficile da qui capire la profondità del piccolo bacino, i muschi e la vegetazione che la contornano gli danno una profonda tonalità verde smeraldo; insomma si tratta di uno scrigno della natura, di un vero gioiello all’interno di un territorio che da solo è già una prerogativa fortunata di questi posti. In fondo a quella stretta e profonda frattura scorre un sottile nastro a metà tra l’azzurro ed il grigio, il fiume Orta, ancora carico di acque di fusione; dove si allarga e si appropria dei tratti più larghi del bacino il fiume scorre tra le tante pietre ormai levigate dal continuo scorrere e crea mille spumeggianti vortici che creano il concerto leggero che sale fino a noi. Bucolico, fuori dal tempo e carico di suggestioni, questo lembo di Majella, nulla ti invita a correre e ad avere fretta e tutto sembra appartenerti da sempre. Per forza si deve riprendere sulla stessa via dell’andata, fino alla scaletta di metallo per prendere l’altro sentiero di fronte che scende ripido verso il letto del fiume; tanto è ripido il versante della forra che i primi tornanti si arrotolano su se stessi e quasi scendono paralleli; uno, due, tre, dieci tornanti, innumerevoli affacci, fino a quando si placa la pendenza e ci si inoltra nella rigogliosa vegetazione di fondo valle. Felci altissime e lucide come qualcuno le avesse tirate a nuovo intralciano il sentiero fino ad approdare ad una pietraia bianchissima e levigata che forma ormai il greto dell’Orta; il fiume scorre stretto in pochi metri sotto la ripida parete del versante opposto, la corrente scorre veloce, il colore è grigio tipico dell’acqua di fusione, senza riflessi e opaca, probabilmente in questo tratto il fiume deve essere anche decisamente profondo. La Cisterna sta alla nostra destra, meno di un chilometro avanti, è forte la voglia di raggiungerla e ci incamminiamo, anche se siamo quasi certi che non ci sia un sentiero completamente asciutto per raggiungerla. Iniziamo a risalire il fiume, ora a lato, tra la vegetazione, in alcuni tratti sabbiosi, ora al centro del greto in bilico sulle tonde rocce, fino ad un ansa dove il sentiero continua decisamente dalla parte opposta e nel mezzo … venti metri da guadare; per fortuna anche se il tratto è ampio è poco profondo. Mi ero attrezzato bene con i pantaloni da trekking doppio uso, sgancio la parte bassa dei pantaloni e mi ritrovo in pantaloncini, Marina se li avvolge sulla gamba sopra il ginocchio, e ci inoltriamo, uno alla volta a guadare il corso d’acqua. Io con le scarpe da trekking e calzettoni passo senza problemi, i bastoncini a compasso danno una buona stabilità sulle viscide pietre ed anche la temperatura dell’acqua non mi sembra troppo bassa; Marina, che si è invece portata i sandali aperti soffre il gelo della temperatura e la sponda opposta sembra per lei non arrivare mai. Al primo guado seguono tratti di boscaglia al limitare del fiume, attraversamenti asciutti sulle pietre ed altri due guadi, sempre facili, uno dei due obliquo al letto del fiume, nettamente più lungo degli altri. L’ultimo guado è proprio di fronte alla Cisterna, dove si sale direttamente dal corso d’acqua; è qui, proprio di fronte alla Cisterna, prima di attraversare il fiume, che ci squilla il telefono, chissà quale segnale sarà riuscito ad intercettare in questa fessura della terra ma di fatto squilla; è la telefonata che mai vorresti arrivasse quando ti trovi in quelle condizioni, una telefonata che non sto e voglio raccontare ma che riguarda questioni familiari anche urgenti e pressanti. Dopo la telefonata il segnale, ovviamente sparisce, le tacche sono tutte fasulle ed ogni tentativo di saperne di più fallisce. In quelle condizioni la freddezza di Marina fa si che si continuasse per qualche minuto ancora fino a raggiungere l’obiettivo. Guadiamo quindi il fiume, questa volta con frenesia, raggiungiamo la levigata conchiglia della Cisterna da dove lenta scivola via tutta l’acqua che il piccolo bacino non riesce a contenere. La parte rocciosa levigata della Cisterna si alza senza appigli per più di un metro e mezzo dal letto del fiume, ai lati l’inconsistenza delle ripide coste colme di muschi, erbe e terra o troppo levigata o tropo friabile, non permettono di salire facilmente. Marina torna indietro e mi invita però a salire almeno per portarci a casa qualche fotografia; giro un po’ attorno alla conchiglia della Cisterna per cercare il modo di salire senza ricadere maldestramente nel fiume. A destra un tratto scoperto di roccia è molto levigato e verticale senza appigli, a sinistra la parete a lato della conchiglia è friabile, spugnosa, ricoperta di muschi difficile da approcciare. A dire il vero le difficoltà, col senno del poi, credo fossero tali per via dell’ansia e della frenesia che avevamo addosso; scorgo lì accanto per fortuna una scaletta posticcia costruita con dei sottili ferri da carpentiere, probabilmente messa ad hoc dalla gente del posto che notoriamente usa questa “pozza” come piscina estiva; si flette maldestramente e tanto sali che tutto riscendi. La riposiziono, cerco con la mano un appiglio nella parte superiore della conchiglia, un po’ salgo con la scaletta un po’ mi tiro con le braccia che riesco a fare quel tratto che mi permette di appoggiare almeno una delle ginocchia; sono sopra, un po’ bagnato ma sono sopra. Non mi interesso al problema dello scendere che non sarà certo banale senza un aiuto umano, perché quello che vedo una volta sopra è così fascinoso che nulla (quasi) a confronto merita un pensiero. Ho continuato a definirla conchiglia invece di Cisterna perché tale mi è sembrata; una terrazza rocciosa piatta dove al centro sembra essere stata scavata dall’uomo una piscina rotonda dal diametro di circa quattro metri; la profondità non riesco a definirla, per la grande limpidezza dell’acqua e per i riflessi di cui è carica, forse un metro mezzo; la trasparenza cristallina, al contrario di come sembrava dall’alto. La parete a picco su un lato, il muschio spesso di cui è ricoperta e quella patina di muschio che cresce sui ciottoli che compongono il fondo contribuiscono a dare una tonalità smeraldo che ipnotizza. Ma è l’ansia la mia padrona, quelle che ho catturato sono veloci emozioni, intense ma veloci e sfuggenti; ho rimandato alle poche foto che ho fatto i dettagli della Cisterna. Di certo merita un ritorno. La fretta è di solito brutta consigliera, sul ciglio della piattaforma studio la discesa, per un momento penso di saltare nell’acqua per far prima, mi fermo per la paura dell’atterraggio sui ciottoli instabili forieri di una clamorosa quanto inopportuna slogatura e per la paura di finire completamente nell’acqua e di giocarmi così telefoni e macchine fotografiche. Scendo dallo stesso punto dove sono salito, mi aggrappo alle maniglie che ho usato per salire e lentamente mi faccio scivolare sulla roccia alla ricerca di una appiglio per i piedi protesi nel vuoto. L’acqua mi scivola addosso, scendo e per un breve momento sono tropo fuori e troppo affidato alle sole braccia. Quando inizio a temere di scivolare nell’acqua il piede sinistro percepisce un appiglio, un paio di tentativi e sono al sicuro. Attraverso velocemente il primo guado, raggiungo Marina che si era già incamminata, il secondo guado e poi il terzo, il rientro somiglia ad una ritirata frettolosa, sui primi tornanti consiglio Marina di rimettersi gli scarponi, il tempo perso lo recupereremo in ritmo e sicurezza. Ogni tanto tento una telefonata, nulla, il segnale è, giustamente, sempre farlocco. Raggiungiamo il paese senza accorgercene, con un ritmo infernale e senza sosta superiamo il netto dislivello fino al sentiero che entra in paese. Finalmente, la linea, torniamo nel mondo, la telefonata e … falso allarme, tutta una grande inutile ansia e fretta si risolvono in un rigenerante falso allarme. Non ci siamo goduti a pieno la seconda fase della piccola escursione ma in quel momento non ci è sembrato importante, anzi ci è sembrata una stupidata colossale averlo solo pensato e ci siamo sentiti più leggeri; solo più tardi masticheremo inevitabilmente un po’ di amaro.Il fiume Orta e la Cisterna ci avevano conquistato e di certo ci ritorneremo anche per visitare la parte più bassa delle gole; in fin dei conti poi La Majella ci aspettava anche domani, non potevamo obiettivamente chiedere di più. Lentamente ci avviamo verso Palombaro, ed il nostro B&B; dalle parti di Guardiagrele la Majelletta è un tutt’uno con le nuvole nere che la sovrastano. E’ questione di pochi minuti e si scatena un finimondo di tuoni, lampi, pioggia e grandine, un provvidenziale cavalcavia ci salva dalla furia degli elementi; fin tanto che, dopo poche decine di minuti, tutto ritorna immobile. La pioggia smette, le nuvole si schiariscono e quando arriviamo a Palombaro rimangono solo quelle formazioni nuvolose sfrangiate tipiche del dopo temporale e che lasciano anche spazio all’azzurro del cielo. Il Macirenelle rimane incappucciato, da dove alloggiamo ci sovrasta, la speranza l’indomani è che ci compaia libero e stagliato nel cielo azzurro.